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24/11/2014

Siria, nessuna via di fuga per i profughi
di Anna Clementi

Più di 190.000 morti secondo le statistiche ufficiali dell’ONU, quasi 10 milioni di sfollati e più di 11 milioni di persone che hanno bisogno di protezione e di assistenza. La peggiore crisi umanitaria dell’epoca contemporanea dopo la seconda guerra mondiale. E la situazione in Siria non accenna a migliorare. La guerra continua a devastare il paese e ormai anche gli stati vicini sono al collasso. Il Libano, il paese col più alto tasso di rifugiati al mondo, è fortemente provato dal punto di vista politico, sociale ed economico. L’Iraq deve fare i conti anche con una crisi interna che ha già provocato quasi 2 milioni di sfollati iracheni. E la Turchia e la Giordania hanno stanziato ingenti fondi per l’accoglienza dei rifugiati siriani che ha influenzato molto negativamente la loro stabilità sociale ed economica.

E se ai paesi confinanti vengono fatte pressioni perchè tengano aperte le frontiere con la Siria, gli stati dell’Unione Europea continuano ad attuare una politica restrittiva e difensiva che al posto di aiutare chi fugge dalla guerra, lo respinge, lo esclude.

Pertanto ai siriani non rimane nessuna via di fuga. Sono costretti a rimanere prigionieri dentro l’inferno siriano dove le condizioni di vita peggiorano giorno dopo giorno. Secondo i dati dell’Acnur nel 2014 il numero dei siriani che è riuscito a lasciare il paese ha subito una forte diminuzione. Se nel 2013 l’Acnur registrava ogni mese 150.000 nuovi rifugiati siriani, nei primi nove mesi del 2014 la media è stata di meno di 80.000 persone e ad ottobre sono stati registrati solo 18.500 rifugiati con una diminuzione di quasi il 90% rispetto al 2013. Questo fenomeno è dovuto al fatto che quasi tutti gli stati hanno imposto delle forti restrizioni all’afflusso di nuovi rifugiati costringendo i migranti ad adottare nuove vie, illegali e pericolose, per fuggire dalla Siria. O a rimanere imprigionati al suo interno.

Il rapporto descrive in dettaglio le varie tecniche utilizzate dai governi per impedire l’afflusso di profughi. Ad esempio molti stati hanno pattugliato i propri confini con copiose forze di sicurezza per impedire l’ingresso a tutti quei siriani sprovvisti di documento di identità.

Da settembre 2014 anche i confini libanesi sono diventati di difficile accesso sia per i siriani che per i rifugiati palestinesi. Si calcola che più del 60% dei profughi siriani che ha cercato di entrare in Libano sia stata respinta.

Anche la Giordania, a partire dal 2013, ha progressivamente limitato l’ingresso di nuovi rifugiati tanto che nel 2014 è stato registrato un forte calo di arrivi di siriani (da 60.000 al mese nel 2013 a 10.000 al mese nel 2014, fonte Acnur) e il numero di siriani che rientravano in Siria ha superato quello di chi arrivava. Particolari restrizioni sono state attuate nei confronti dei rifugiati palestinesi residenti in Siria ai quali è stato proibito l’ingresso in Giordania.

I confini iracheni negli ultimi 18 mesi sono stati chiusi ad intermittenza e aperti solo in caso di forte necessità.

L’unico stato che fino ad ora non ha posto forti restrizioni all’ingresso di profughi siriani è la Turchia anche se negli ultimi mesi entrare nel paese senza un documento di identità è diventato più difficile. Sono moltissimi i siriani che cercano di entrare in Turchia in modo illegale e si calcola che ci siano circa 170.000 sfollati siriani che vivono in campi profughi proprio a ridosso del confine turco. La Turchia ospita più di un milione di rifugiati siriani e, soprattutto dopo l’arrivo di quasi 200.000 profughi in fuga da Kobane, le condizioni di vita nel paese si stanno facendo sempre più difficili dal punto di vista sociale ed economico.

Proprio a causa di queste crescenti restrizioni di movimento e del peggioramento delle condizioni di vita nei paesi limitrofi, molti siriani e molti rifugiati palestinesi, impossibilitati a raggiungere gli stati dell’Unione Europea in modo legale, non hanno avuto altra scelta se non quella di tornare in Siria.

Fornire aiuti e assistenza ai rifugiati della Siria non è una questione di vicinanza geografica, mettono in guardia NRC e IRC. Sono i governi e gli enti pubblici e privati di tutto il mondo che devono farsi carico di tale situazione. Non solo aiutando i paesi confinanti con la Siria e aumentando i programmi di assistenza umanitaria all’interno del paese ma anche favorendo programmi di reinsediamento e attuando una politica inclusiva e non esclusiva.

Il rapporto integrale, in lingua inglese, è scaricabile qui

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