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17 settembre 2014

“Vogliamo vivere”, l’estate di Yarmouk coi suoi richiami
di Claudia Avolio

Il campo palestinese in Siria continua a inviarci messaggi di speranza nonostante tutto

Bidna naesh!!!

Vogliamo vivere è la campagna con cui il campo di Yarmouk esprime la più semplice e necessaria richiesta dei suoi abitanti: tornare a vivere. Dopo almeno 170 persone uccise da motivi legati all’assedio (fame, sete, mancanza di assistenza medica), 5000 case distrutte, famiglie divise, aiuti umanitari bloccati più e più volte, a far sentire la sua ostinata e inarrestabile presenza è ancora lei: la vita. Ho cercato, così, di mettere insieme i più bei richiami alla vita giunti dal campo in questi mesi estivi, con il buio che Yarmouk si trova ancora ad affrontare.

Dopo pochi giorni dall’accordo raggiunto a giugno (ma non ancora messo in atto) per la neutralità del campo, il giovane attivista palestinese di Yarmouk, Abdallah, scriveva: “Ai fratelli fuori dal campo che dicono che non torneranno nel campo finché il campo non tornerà come prima vorrei dire che il campo non tornerà come una volta a meno che proprio voi vi facciate ritorno e lottiate per darne prova”. Purtroppo la fine dell’assedio che appariva così vicina grazie all’accordo, non è ancora realtà.

al-hisar, l’assedio.  Imposto in forma totale nel luglio 2013, dura da un anno e due mesi. Al 404° giorno d’assedio Abdel Karim ha realizzato una grafica in cui il numero della pagina non trovata (404) diventa il numero della pace non trovata.

al-qasf, i bombardamenti. “La mattina del 9 settembre un aereo militare del regime siriano ha colpito l’area di via ‘Oroba [considerata da alcuni come esterna al campo, da altri come parte integrante di esso] con due raid che hanno distrutto delle abitazioni di civili e provocato diversi feriti”. A riportare la notizia è stata la Lega Palestinese per i Diritti Umani in Siria (PLHR/Sy), che ha parlato anche di “colpi di mortaio in diverse zone del campo”.

al-ma’, l’acqua. Mancava e continua a mancare. Ad agosto sono apparsi tanti serbatoi rossi tenuti sulla strada, che di solito invece vengono tenuti all’ultimo piano delle case. La scarsissima pressione dell’acqua in questo periodo (“Arrivava a malapena a 50 cm da terra”, avevano scritto il 10 agosto su ‘Adasa al-Mokhayyam, pagina Facebook che fornisce notizie locali), ha quindi costretto gli abitanti a portare giù i serbatoi.

Ora si sta registrando una mancanza d’acqua potabile ancora più consistente: al 16 settembre il campo è rimasto senz’acqua per l’8° giorno consecutivo. La Lega Palestinese per i Diritti Umani in Siria (PLHR/SY) ha diffuso alcune foto che documentano l’emergenza, con alcune donne e bambini mentre trasportano i bidoni necessari a garantire il minimo indispensabile d’acqua distribuita loro da un’autocisterna. L’acqua viene ora distribuita anche da fondazioni come Jafra e il comitato Al-Khayriya per il popolo palestinese. Yarmouk ‘atshan (Yarmouk ha sete) ha scritto dal campo Niraz dopo aver fotografato una pianta che va seccandosi.

qatl, ightiyal, le uccisioni. Per la prima volta ho capito che esiste una differenza tra il termine arabo qatl (uccisione) e ightiyal (assassinio). Purtroppo il motivo per cui ne ho preso atto è una serie di assassini (ightiyalat, appunto) avvenuti in questi mesi a danno di attivisti nel campo che per il campo si sono spesi e hanno pagato questo loro contributo con la vita. Ho imparato che ightiyal non è “soltanto” l’uccisione di qualcuno, ma indica l’uccisione di qualcuno che col suo operato dava fastidio.

Quando Bahaa Saqer è stato ucciso da persone non identificate, in luglio, per ricordarlo hanno diffuso un suo video in cui insieme agli altri civili di Yarmouk si dava da fare per far sì che il convoglio con gli aiuti umanitari entrasse finalmente nel campo. Il periodo dovrebbe essere lo scorso gennaio ma non sono riuscita a identificarlo con certezza. Ad ogni modo i contenuti della telefonata ripresa nel video rendono chiara una cosa: la gente del campo stava morendo di fame.

Ho voluto tradurla per un motivo: mi ha toccato nel profondo vedere che significa essere un attivista di Yarmouk e quanto impegno queste persone mettono ogni giorno per la propria gente. Bahaa Saqer era uno di loro, con una semplice telefonata ci trasmette la dignità di un intero campo:

Bahaa Saqer detto “Abo Hamzeh” parla con lo sheikh al-Omari circa un convoglio che doveva entrare nel campo.

“Sono Bahaa Saqer, la sto aspettando nel posto in cui abbiamo concordato di incontrarci e ho con me la bandiera della Mezzaluna Rossa. Vuole che la innalzi così può vedermi bene? Vuole che venga fuori da solo?”

Lo sheikh risponde: “Qualcuno ha sparato al convoglio e gli aiuti sono tornati indietro”

Bahaa replica: “Sheikh, ci hanno lanciato cinque granate dai carriarmati. Scatterò una foto per lei per mostrare che non abbiamo con noi alcun militante. Siamo qui, se vuole inviare gli aiuti nel campo io sono qui. Sono con gli attivisti civili. Se vuole che sia io a venire lì, lo farò anche se dovessi morire.”

Lo sheikh insiste: “Ma ci hanno sparato”

Bahaa precisa: “Sheikh, è a noi che hanno sparato. Ci sono videocamere qui con me, siamo tutti civili, stiamo aspettando, aspetteremo anche fino alla mezzanotte. Vengo da solo, ma mi garantisce che nessuno mi sparerà?”

Il telefono viene passato a un altro che si presenta come Abo Mohammad.

Bahaa: “Sono qui, dove abbiamo concordato. Innalzerò la bandiera della Mezzaluna Rossa, vi aspetterò”

Abo Mohammad: “Tornerò tra cinque minuti”

Bahaa aspetta.

“La sto aspettando, sheikh, con circa 50 civili. Verremo a prendere gli aiuti sulle nostre spalle”.

Abo Mohammad: “Gli aiuti sono tornati indietro”

Bahaa, scioccato: “Sono tornati indietro? Perché?”

Sheikh: “C’è un incontro che dobbiamo svolgere, poi decideremo sul da farsi”

Bahaa: “Sheikh, la gente sta morendo di fame e lei mi parla di incontri. Sheikh, non abbiamo carriarmati per sparare. Hanno colpito la moschea con cinque colpi d’artiglieria, è stato il regime non noi.”

Uno dei civili accanto a Bahaa, capita l’antifona, dice “Basta, non vogliamo più nulla”.

Bahaa: “Sheikh, ilna allah, a noi penserà Dio. Siamo pronti a morire di fame ma giuro che moriremo con dignità, nel campo di Yarmouk si morirà con dignità”.

an-nashitun, gli attivisti. Come Bahaa, sono stati uccisi in passato alcuni tra i migliori attivisti di Yarmouk. L’11 settembre è ricorso il primo anniversario dalla morte di Ahmad Trak, Khaled Bakrawi e Shehadeh al-Shihabi, ce lo ha ricordato Yarmouk News Agency che li ha descritti come “un gruppo di ragazzi di una lunga lista che comprende molti nomi di volontari che hanno offerto assistenza e aiuto umanitario nel campo e che sono morti sacrificandosi e difendendo l’umanità di Yarmouk”.

at-ta’dib, la tortura. I palestinesi uccisi sotto tortura in Siria per mano del regime sono stati nel solo mese di agosto almeno 30. Nei primi dieci giorni di settembre sono state registrate le morti di altre 8 persone. Sono oltre 260 le vittime totali.

Mohammad al-Sirsawi, palestinese del campo, aveva 50 anni e la notizia della sua uccisione sotto tortura è giunta il 5 agosto scorso dal Syrian Human Rights Committee, che ha scritto: “La sua salma non è stata consegnata ai familiari. Il suo arresto è avvenuto diversi mesi fa nel posto di blocco as-Sabina durante l’avvio di una delle campagne di aiuti umanitari per fornire i pacchi alimentari nella zona”.

Suo fratello ha scritto una poesia per me molto significativa, che mi ha colpito e che ci tengo ora a condividere.

All’anima del martire ucciso sotto tortura Mohammad al-Sirsawi, figlio del campo di Yarmouk
di Mahmud Sirsawi, suo fratello
traduzione di Claudia Avolio

A mio fratello Mohammad nella sua sorprendente presenza

Stai pur certo di essere il più bello

E che le strade di Yarmouk hanno inciso

Sulle tue grida il loro avvenire

E che il mare, tutto il mare nelle tue labbra potrebbe nitrire

Allora non te ne andare

Fratello mio, erba cresciuta sul mio silenzio

Ferita che hai permesso il fuoco nella mia voce

I loro patiboli, i loro colpi di mortaio, il ronzio della morte

Attorno al singhiozzare del nostro migrare

E di tutto questo sanguinare, di tutto il sanguinare

Non domandare

Scriverò di te, anima palestinese, mentre t’innalzi

E mentre col tuo canto d’uccelli porti una melodia

Nella nostra giornata che è sola

Scriverò di te, non ti compiangerò più

Non perdonerò e non festeggerò più.

Tel Al-Zaatar. Tra le pagine più nere dell’estate per i palestinesi (e per tutta l’umanità) si inserisce il massacro di Tel Al-Zaatar (Libano, 12 agosto 1976). Dal campo e dal di fuori è stato quest’anno ricordato con queste parole:

Salim Salamah, palestinese di Yarmouk oggi in Svezia, ha scritto:

“Commemorerò i morti tenendo a mente la faccia del criminale. Non sono mosso da odio, sono mosso da un ricordo che mi sono impegnato a ravvivare sempre, un ricordo di cui andrò a caccia delle notti degli assassini.

In un giorno come oggi, nel 1976, il massacro della Collina del Timo (Tel Al-Zaatar) è stato commesso da parte di milizie estremiste cristiane in Libano, per ordine del regime siriano – il regime degli Assad – quel regime che oggi tiene sotto assedio 20 mila palestinesi a Damasco. Il massacro di Tel Al-Zaatar portò alla morte di 1500 – 3000 vittime – tra i due numeri restano inespresse storie d’orrore e morte.

2011-2014: Assad figlio uccide almeno 2000 palestinesi, 217 sotto tortura [in queste settimane il numero è salito], la Lega Palestinese per i Diritti Umani li conosce nome per nome, foto per foto, storia per storia. Applaudirò alla giustizia un giorno! E sputerò sui miei amici e sui miei nemici, entrambi, se sono rimasti in silenzio in tempi di repressione”.

Hani Abbas, vignettista di Yarmouk oggi in Svizzera, ha scritto: “Nell’anniversario di Tel Al-Zaatar: noi non celebriamo i numerosi massacri a cui il nostro popolo è stato esposto. Ricordiamo soltanto agli assassini, a tutti gli assassini, che noi esistiamo ancora, che le nostre voci riempiono il mondo. Che noi siamo rimasti, e che siamo palestinesi.”

Niraz, mediattivista e fotografo, dal campo ha scritto: “Affinché non dimentichiamo: la Storia si ripete la prima volta come tragedia e la seconda come commedia. Tel Al-Yarmouk – Mokhayyam Al-Zaatar [ha mischiato i nomi dei due campi]: l’assassino è uno, la vittima è una.”

Alaa Aboud (PLHR/Sy) di Yarmouk oggi in Francia ha scritto: “Tel Al-Zaatar è stato il primo dei crimini contro i rifugiati da parte degli estremisti razzisti in Libano ed il caso non si è fermato lì. Invece è proseguito e prosegue ancora contro chiunque abbia sulle spalle lo status di rifugiato. Quante Tel Al-Zaatar si verificano ai giorni nostri!”

al-amal, la speranza. Uno splendido esempio della vita per cui si continua a lottare nel campo è l’Asilo della Speranza (rauda al-amal) portato avanti dal comitato Al-Khayriya per il popolo palestinese che fa sempre molto per il campo e ne ha parlato così:

“Abbiamo aperto l’asilo della Speranza mentre ci davamo da fare per la campagna Rajeen (“Torneremo”, in cui hanno distribuito gli aiuti alimentari) così da poter fare ritorno proprio al campo e coi nostri bambini all’asilo. I piccoli che lo frequenteranno hanno tra i 3 e i 5 anni e vi svolgeremo percorsi didattici, attività ricreative e verrà offerto ai piccoli sostegno psicologico. Vi si sono già svolte una festa per i bambini ed altre attività. Abbiamo distribuito ai bambini delle belle maglie e la gioia era nei loro occhi. Poiché il loro sorriso è speranza, anche educarli sarà speranza.”

Il Ramadan e l’Eid. Alla fine del Ramadan, mese sacro di digiuno per i musulmani, all’arrivo dell’Eid si fa visita al cimitero. Fatima Jaber, palestinese di Yarmouk che oggi si trova in Bulgaria, ha dato una descrizione incantevole di cosa accade in questa giornata nel campo:

“Un secchio d’acqua o una bottiglia per lavare la tomba di uno dei nostri cari. Un ramoscello di as (mirto, si usa adagiare sulle tombe nel primo giorno di Eid), un thermos di caffé amaro (si beve anche in occasione dei funerali), un dolce d’Eid, e si incontrano amici e persone care stretti attorno alle tombe di altri amici e persone care. L’Eid nel campo comincia da qui, dal Cimitero dei Martiri e in qualche tomba possono essere sepolte più di una persona cara.  Il cimitero nel campo non è un cimitero, è una vita di cui comprende il significato solo un palestinese”.

Dal campo poi anche Niraz ha provato a portarci idealmente con lui, descrivendoci la visita che avrebbe compiuto il giorno dopo:

“Domani andremo al cimitero. Come ogni anno da quando sono al mondo, in questo giorno visitiamo le tombe dei martiri. I martiri della Palestina, morti da tempo. Non li conosco, sento parlare di loro  e ne vado fiero. Da tre anni ormai, sempre lo stesso percorso mattutino nel primo giorno di Eid. Ma tutti quelli a cui vado a fare visita, loro sì li conosco e mi mancano ogni giorno di più. I martiri di Yarmouk di cui vado orgoglioso e che hanno lasciato un vuoto nella nostra vita e nell’immagine di Yarmouk.

Domani tornerò a quella terra: in essa si trovano Ahmad, Jihad, Iyas, Mounir, Bassam, Abu Alaa, ma non ci sono Hassan e Khaled (uccisi sotto tortura nelle carceri del regime siriano, che non ha mai restituito i corpi alle famiglie) e Mohammad il fratello di Khaled. Pietà per i martiri, per tutti i martiri. Il Cimitero dei Martiri a Yarmouk diventa sempre più grande. E la ferita di Yarmouk cresce”.

La Palestina abbraccia la Palestina. Quando a Yarmouk l’assedio già da mesi uccideva per la fame e ho chiesto a un amico di Gaza “Avete manifestato in solidarietà con Yarmouk?” mi ha risposto “Siamo lo stesso popolo”. Sono state tantissime in questi mesi le dimostrazioni di forte presenza espresse da Yarmouk per i palestinesi sotto attacco a Gaza e in Cisgiordania. Manifestazioni che si sono susseguite insieme a vignette, dipinti, grafiche, foto, poesie e canzoni create dai palestinesi del campo per ribadire quel “Siamo lo stesso popolo”. Ho scelto due espressioni in particolare, che racchiudono il senso della vicinanza di questi mesi:

Dalla Scozia per Gaza e Damasco
versi del poeta palestinese di Yarmouk Iyad Hayatleh
traduzione di Claudia Avolio

Gaza ed il mio cuore

E Damasco sono gemelli

Ed io sono

Nel sogno dei bambini che riposano

Qui o laggiù, smarrito

Tra i massacri nel quartiere degli Ulivi

e gli uliveti

Ucciso

Dalla mia morte mi desto

Ed il mondo

Nel suo risveglio sta ancora dormendo

Aeham, il pianista di Yarmouk, ha presentato una delle sue canzoni così: “Una nuova canzone dal dolore di Yarmouk, dalla fame di Yarmouk, dall’assedio di Yarmouk per Gaza terra della fierezza, terra della dignità ed origine dei razzi della resistenza. Da parte dei germogli di Yarmouk e dei suoi ragazzi dedichiamo a Gaza questa nostra canzone in tutta umiltà offrendola attraverso il gruppo alla fermezza della nostra gente a Gaza contro l’odiosa macchina da guerra sionista israeliana.”

Canzone “Gaza – Yarmouk”
Il coro dei germogli (Bara’em) di Yarmouk e gli altri ragazzi

Melodia di Aeham Ahmad, testo di Mahmoud Amr
traduzione di Claudia Avolio

C’è una mamma che piange

C’è una mamma che è in lacrime

E tu, Palestina, quanto stai piangendo

La mia mamma piange

La mia mamma è in lacrime

E tu, Gaza, quanto stai piangendo

Oh fratello, stai piangendo così tanto

Sciogliendoti in lacrime

Torna qui, sei stato imprigionato così a lungo

Tua madre sta piangendo

E le sue lacrime si sono seccate

Gaza è soggiogata e sempre più ferita

L’hanno lasciata di nuovo e dimenticata

Vedo le nuvole nere, ah se le vedo

Le vedo sopra di te, Gaza

Terra della fierezza

Il pianoforte di Aeham, dipinto da Abo Rafet, merita una menzione speciale: ora è tutto bianco, con delle onde che lo attraversano andando a fomare la bandiera palestinese coi i suoi colori e sul fianco una chiave di violino, sull’altro un bellissimo Handala in omaggio al vignettista palestinese Naji al-‘Ali. Il 29 agosto è ricorso l’anniversario della sua morte (avvenuta nel 1987 dopo poco più di un mese da quando gli spararono) e ho scoperto sul quotidiano libanese As-Safir che nelle ultime ore di vita dell’artista le sue opere venivano esposte proprio nel campo di Yarmouk.

La vita che nel campo vogliono vivere con tanta intensità la si immagina davvero onorata di essere da loro vissuta. In me risiede il bisogno di continuare a raccontarla.

Claudia Avolio

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