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8 marzo 2014

Le lacrime di Yarmouk
di Ramzy Baroud
Traduzione di Maria Chiara Starace

Tre anni fa, nei primi giorni dell’insurrezione siriana  trasformatasi poi in guerra civile, il  segno premonitore che  stava  diventando un intricato conflitto  regionale e internazionale era  davanti agli occhi di tutti. Era probabile che i palestinesi in Siria si sarebbero trovati come una pedina di una guerra sporca, ma pochi potevano aver previsto l’entità della crisi, e forse, pochi se ne preoccupavano.

Malgrado le loro molte differenze, ci sono due denominatori comuni che uniscono tutte le parti coinvolte nel conflitto siriano. Uno è che tutte contribuiscono, direttamente, o in altro modo, all’uccisione di siriani fatta con totale impunità  e perfino con  ferocia. E, due,  nello stesso momento,  tutti si pongono come difensori del popolo siriano. Non è un rompicapo, ma è la natura dei conflitti sporchi.

Tuttavia, tutti i ‘difensori’ del popolo siriano, senza eccezioni, ora sono segnati per sempre. Nessuna campagna mediatica, discorsi vigorosi  o quantità di denaro può alterare questa realtà. Il regime di Bashar al-Assad può fare qualsiasi tipo di  dichiarazioni,  ma non c’è modo di cambiare il fatto che l’esercito siriano ha ucciso migliaia di civili siriani innocenti. La stessa logica si applica all’opposizione e ai loro alleati, alcuni dei quali dichiarano frettolosamente ‘stati islamici’ ed emirati sui territori conquistati.

Il popolo siriano non può mai coesistere pacificamente con l’attuale struttura di potere di Damasco, né con coloro che si offrono come alternativa.

Le parti esterne sono anch’esse colpevoli. L’Iran, l’Iraq, la Turchia, varie forze libanesi (compreso Hezbollah), la Russia, l’Unione Europea, gli Stati Uniti, e, naturalmente, i paesi del Golfo, hanno fatto più della loro giusta parte di danno. Spesso si incontrano in qualsiasi riunione  politica che hanno  escogitato   per salvare il popolo siriano, tuttavia in qualche modo, le loro azioni – selettive e fatte totalmente per vanità,  sembrano ottenere il risultato opposto.

Dove sono gli ‘amici della Siria’ – di tutte le parti citate prima – quando i bambini siriani continuano a morire di freddo in campi profughi all’interno o fuori dei confini della Siria? Perché si stanno trattando i profughi con assoluta trascuratezza  se non     anche con ripugnanza in alcuni paesi arabi al confine con la Siria  in misura tale che alcuni scelgono di fuggire di nuovo nell’inferno della guerra in patria?

I media arabi più volte eliminano i rapporti sulle violenze nei riguardi delle donne siriane nei campi profughi, situati in paesi dove i profughi sono fuggiti in cerca di protezione. Alcune sono rapite e vendute per farle diventare prostitute, altre sono stuprate senza conseguenze per il colpevole. E’ strano che alcuni siano tanto sensibili riguardo all’onore delle donne, e tuttavia non si fa nulla perché si smetta di disonorarle.      .

In quanto ai bambini, non si può mai enfatizzare l’orrore di un bambino che muore di freddo, fame o per le ferite delle pallottole, senza avere un’idea elementare di chi stia infliggendo questo orrore o del motivo di questo.  I sopravvissuti siriani di questa generazione cresceranno con molta rabbia e a ragione. E’ probabile che le conseguenze saranno così gravi come quelle derivate dalla rabbia che ribolliva in seguito all’invasione americana dell’Iraq, oltre un decennio fa. L’Iraq è ora preso in una furia senza fine.

Per i palestinesi la rabbia è composta da vari elementi. C’è la distruzione della Siria, un paese che, malgrado le sue molte mancanze – una volta ospitava ‘l’asse della resistenza’- l’ultimo  fronte di battaglia per coloro che prendono posizione contro la militanza di Israele e l’egemonia degli Stati Uniti. Indipendentemente dalla giustificazione che è dietro al loro intervento, sono stati tutti screditati. Un giovane siriano una volta mi ha raccontato di un suo cugino che aveva lasciato il Libano per combattere in Siria e che era stato ucciso da Hezbollah. “Sì, ho pianto” ha detto. “Mio fratello mi esortava ad ‘avere fede’, ma non vedo perché piangere sia un segno di aver perduto la fede.” Difficilmente ci si sarebbe potuti immaginare uno scenario in cui Hezbollah, una volta elogiato come il liberatore della terra araba, venisse usato in un contesto così orribile. Le carte si stanno mescolando sempre di più giorno per giorno, e, una volta ancora, sono tutte contaminate, e nessuno è innocente. I leader israeliani forse sono contenti dello spettacolo.

Poi c’è l’assedio di Yarmouk, che è un grande campo per i profughi palestinesi e per i siriani della classe lavoratrice, situato alla periferia di Damasco. L’assedio ermetico sarà ricordato dagli storici insieme a ricordi così turpi come quelli di Deir Yassin, Sabra e Shatilla, Jenin e Gaza, Questa volta Israele non è certo  un fattore diretto della fame, delle uccisioni e dell’umiliazione di diecine di migliaia di Palestinesi che subiscono uno degli assedi più soffocanti della moderna storia della guerra. Certo, i residenti di Yarmouk sono diventati profughi a causa della pulizia etnica di Israele dei palestinesi nl 1948, ma non può esserci alcuna giustificazione per l’attuale      sciagura sperimentata per mano degli eserciti e delle milizie arabe.

Ogni volta che circola la voce che delle buste di cibo sono in qualche modo arrivate nel campo, migliaia di persone vanno in giro correndo in uno stato di completa disperazione, elemosinando le briciole. La maggior parte di loro torna indietro a mani vuote, spesso accolta da colpi di arma da fuoco. Tantissimi sono morti di fame da quando l’anno scorso è stato imposto l’assedio a Yarmouk. Il governo siriano dà la colpa ai ribelli, i ribelli danno la colpa al governo.  Le prove che emergono dal campo indicano che entrambi sono responsabili.

“Un’anziana donna palestinese è arrivata mentre finivamo di distribuire qualunque tipo di sussidio riuscivamo a portare al campo,” mi ha detto Laila, un’amica lussemburghese che coraggiosamente è andata in Siria insieme ad altri.  “Non ci era rimasto nulla, ma la donna continuava a  chiedere l’elemosina  e a parlare dei suoi nipoti che morivano di fame,” mi ha detto, mentre si sforzava di  non piangere.  “Improvvisamente, un soldato la ha aggredita con tantissima  brutalità, picchiandola su ogni parte del corpo. Eravamo così sconvolte e terrorizzate dalla scena, che non potevamo fare nulla mentre l’anziana donna piangeva per il dolore.”

Tuttavia, non un solo canale televisivo arabo di notizie o una pubblicazione, fanno una pausa nel sostenere   la causa della Palestina, e ora della Siria. I leader arabi di frequente indossano il tradizionale copricapo (kuffiya), come gesto di solidarietà. Rispettano la bandiera palestinese in ogni occasione e ogni tanto, con molta ostentazione, annunciano un grosso contributo finanziario destinato alla costruzione di una moschea o di un ospedale che naturalmente avrà il loro nome. I canali siriani ufficiali parlano ancora della battaglia imminente per liberare Gerusalemme. Tuttavia, le impronte digitali arabe sono impresse su gran parte dell’infelicità toccata ai palestinesi, sia a Gaza che in Libano, in Siria o altrove.

I siriani hanno bisogno di ricordare l’esperienza palestinese che è durata 65 anni e altri che verranno, e non soltanto nel contesto israeliano, ma in quello della pulizia etnica e dell’occupazione militare. Con tutti coloro che si sono auto- proclamati ‘liberatori’ che sono venuti e andati via, con tutti gli slogan, le conferenze, le dichiarazioni alla stampa, le poesie, le preghiere collettive, gli annunci di aiuti  generosi e tutto il resto, la maggior parte dei palestinesi in Medio Oriente continuano a vivere in squallidi campi profughi. Sono oggetti di numerosi libri, articoli e documentari, e tuttavia pochi vanno in loro soccorso quando pere sopravvivere sono costretti a mangiare i pochi cani e gatti randagi che ci sono nei loro campi.

Yamouk è una testimonianza di quella eredità di sconforto  che molti continuano a ignorare, mentre continuano  a parlare di  ‘fratellanza araba’ e di ‘solidarietà araba’.

I siriani devono soltanto riflettere sulla storia collettiva palestinese di indigenza per prevedere il loro futuro,  se non si  faranno carico del loro destino, indipendenti da tutte le parti che dichiarano amore eterno per la Siria e il suo popolo.


Ramzy Baroud (ramzybaroud.net) è un opinionista che scrive sulla stampa internazionale e dirige il sito PalestineChronicle.com. E’ ricercatore all’Università di Exeter, Regno Unito. Il suo libro più recente è: My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story  (Pluto Press).    [Mio padre era un combattente per la libertà: la storia di Gaza che non è stata raccontata].


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/tears-of-yarmouk

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