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mercoledì 21 maggio 2014

Verso il Viaggio del Papa in Terrasanta

Maria Laura Conte i ntervista a Mons. Maroun Lahham, Vicario del Patriarca di Gerusalemme dei Latini per la Giordania.

"Da lui ci aspettiamo parole di amicizia, dialogo, convivenza con i cittadini musulmani". L'incombente dramma siriano.

OASIS, 19 maggio 2014

Un unico pellegrinaggio, ma con tappe in contesti diversi. Quali gli aspetti salienti?

«La visita si svilupperà in tre tappe, in Giordania, Palestina e Israele, che si presentano come situazioni completamente diverse. Il papa in Giordania incontrerà una comunità di cristiani felici, che possono vivere e praticare liberamente la loro fede, senza problemi di persecuzione. Prevediamo circa 40.0000 persone alla messa ad Amman e puntiamo alla massima riuscita. In Israele invece ultimamente si ripetono attacchi a chiese, conventi, moschee, da parte di alcuni fondamentalisti ebraici che, quasi ogni due-tre giorni, imbrattano con scritte offensive e minacciose edifici cristiani o musulmani. In particolare scrivono uno slogan: “pagare il prezzo”, come dire: “ci avete perseguitato nel passato, ora dovete pagare”. Sono attacchi dolorosi, ma non si può parlare di persecuzione di matrice religiosa. Le autorità fermano alcuni di questi fanatici, ma non con un’azione che li fermi definitivamente. In Palestina si risente della pesante situazione dei rapporti irrisolti con Israele, una sofferenza che si protrae da decenni ormai».

In particolare i giordani cosa si aspettano dall’incontro con il Papa?

«Per la Giordania ci aspettiamo parole di fede e di speranza, come quelle che lui solo sa dare. In Giordania tutti, il re e la regina, i principi e le principesse vogliono vedere questo papa che ha travolto il mondo. Da lui ci aspettiamo parole di amicizia, dialogo, convivenza con i cittadini musulmani. E di incoraggiamento per gli ammalati che incontrerà al sito del battesimo. A proposito dei rapporti tra la Palestina e Israele, ci auguriamo che dica parole forti di pace, giustizia e dialogo. Soprattutto ora che il processo di pace si è bloccato, gli americani se ne sono lavati le mani e hanno lasciato una situazione di stallo, urgono parole di riconciliazione. Papa Francesco, grazie al lavoro costante dei nunzi, conosce bene la realtà qui. L’assemblea degli ordinari cattolici ha già preparato un’ampia documentazione. Il papa non arriverà impreparato.

Come è stato guardato papa Francesco da parte dei musulmani in questo primo anno?

«Le richieste pervenute da parte del re, dei principi e delle principesse, le oltre 1300 richieste da parte delle ambasciate musulmane, sono segni concreti del fatto che tutti vogliono toccare questo papa, percepito molto molto molto bene. Ad oggi ancora Francesco non ha avuto modo di parlare dell’Islam, ma quello che tocca le persone non sono le parole, sono i gesti. La gente non ha bisogno di parole, ma di gesti. Quando Francesco ha abbracciato l’ammalato sfigurato a Roma, ha compiuto un semplice gesto che è arrivato a tutti i cuori. Tutto il mondo è rimasto colpito. La sua semplicità, i suoi gesti, la sua umiltà toccano tutti, anche i musulmani. Anche se non ha ancora scritto un’enciclica sull’Islam».

Anche se non farà una sosta in Siria, questo Paese così vicino sarà di fatto presente, incombente…

«Il papa ha pianto quando ha visto le foto dei cristiani crocifissi in Siria. Il Papa ha parlato del conflitto siriano come mai prima un papa ha parlato. Ha usato l’espressione “la mia amata Siria”. Solo che anche se i papi parlano, i politici restano sulle loro posizioni. Ricordo quando Giovanni Paolo II scrisse a Saddam e Bush supplicandoli di fermarsi. Ricordo che la Repubblica titolò “Il papa spera e Bush spara”. E nessuno ascoltò il papa polacco. Io spero e prego che questa crisi si arresti. Non credo che se Francesco proponesse un’altra giornata di preghiera e digiuno, la situazione cambierebbe. Quello che cambia ora è che l’esercito di Asad sta recuperando terreno, Homs è stata liberata dalle milizie. Entro due mesi l’esercito nazionale recupererà le aree perdute e poi ci saranno le elezioni di giugno, più o meno serie. Penso che la soluzione politica, di cui alcuni parlano, non sia realizzabile, perché l’esercito avrà la meglio e le milizie dovranno andarsene. Non vedo una soluzione politica, no, vedo solo quella militare al momento».

Il tema cristiani orientali e “protezione” resta un tema sensibile. Come lo interpreta?

«Quando sei una minoranza, vai dalla maggioranza a chiedere una protezione. Si chiama psicologia della minoranza. I cristiani vivevano serenamente in Siria e Iraq. Dopo l’Iraq l’alternativa proposta per la Siria, quell’al-Qaida che gioca al pallone con le teste dei cristiani uccisi, si pone come un’alternativa terribile. Penso che i cristiani in Siria abbiano davanti due alternative: o Asad com’è o i fanatici. Chi sarà eletto presidente dovrà aver capito cos’è successo in Siria, e quindi dovrà aprire porte e finestre, avere a cuore la libertà, la giustizia e il lavoro. Non si può andare avanti come prima».

Ma chi vince sul campo la guerra, non diventa ancor più prepotente?

«Un po’ di cuore alla fine lo deve avere chi vince. Sapere che ci sono stati 150.000 morti in questa crisi, deve indurre a riflettere chi governa. Penso. Almeno, io prego per questo. Questa è la mia personalissima opinione».

Questo papa come può relazionarsi con i musulmani per avere un rapporto reale?

«In Terra Santa tutto è complicato. Bisogna far attenzione a tante sfumature.

Ma penso che l’Islam fanatico, con il fallimento politico di Egitto e Tunisia, ora sia portato a essere più ragionevole. Penso che l’Islam moderato, come quello giordano e tunisino, si intenda facilmente con papa Francesco, perché non ha bisogno di tanti discorsi. Noi orientali siamo più toccati dai sentimenti, che non dai ragionamenti scolastici. A noi un gesto, un abbraccio, un sorriso, basta».

Si parla di una visita storica. Che ne pensa?

«Sarà una grande festa di popolo in Giordania».

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