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“Assad usa bombe chimiche” La denuncia choc dei medici: dalle città in guerra arrivano negli ospedali del Libano feriti con ustioni che non possono essere state prodotte dalle solite armi. Ecco le prove che l'Occidente non vuole vedere. Omar procede a fatica lungo una stradina in salita di Tripoli del Libano, come un vecchio. E' ingobbito, tiene lo sguardo basso, fisso sul marciapiedi. Ha il fiato corto, le gambe rigide. E i movimenti di un burattino slogato. Ogni passo è una sofferenza. Eppure Omar ha tredici anni. Due mesi fa in Siria, a Homs, una bomba ha mandato in frantumi la sua infanzia e la sua vita. «Era una bomba diversa dalle altre», dice con difficoltà, in un mormorio, questo bambino dal volto e dal corpo ustionati in modo atroce. «Dalla bomba si è alzato subito un fumo giallo, credo. Era molto denso. Mi hanno detto che ho perso conoscenza e che alcuni vicini mi hanno trasportato in un ambulatorio di campagna. Non ricordo più molto bene. Ma non ho visto i miei genitori. Da allora sono scomparsi. Voi sapete dove si trovano?». Cala un silenzio pesante. Omar è ancora sprofondato nelle tenebre del suo incubo e per proteggerlo dal peggio gli è stata nascosta la verità: la sua intera famiglia è morta intrappolata in una casetta della parte vecchia di Homs. Sono morti soffocati, hanno detto i medici. Sono morti senza nessuna ferita fisica apparente, senza essere stati colpiti direttamente da un'esplosione qualsiasi, hanno detto alcuni testimoni. Omar, 13 anni, mostra le sue ustioni. Neanche Omar, che era in un'altra stanza, è stato colpito. Ma due giorni dopo sul suo corpo sono comparse ustioni, piaghe, vesciche, che lo hanno sfigurato. Poi sono sopraggiunti problemi di equilibrio, perdita di memoria, dolori muscolari. A Homs i medici hanno pensato immediatamente alle conseguenze di un bombardamento chimico. Ma quei volontari che avevano aperto un ambulatorio in aperta campagna non hanno potuto fare niente. Così hanno organizzato un trasferimento e clandestinamente l'hanno fatto portare in Libano. Speravano che lì il bambino potesse trarre giovamento da una diagnosi e da una terapia adeguata... Ma il "sogno" è rovinato dall'impotenza di coloro che nel Paese dei Cedri hanno accolto la vittima. «Benvenuto nel Regno delle sofferenze misteriose, dell'orrore della guerra chimica». Usando l'ironia come un'arma di difesa, il dottor Ghazi Aswad, chirurgo francese di origine siriana, 58 anni, chiede con dolcezza a Omar, nell'ambulatorio che si chiama "24/24" di Tripoli del Libano, di sdraiarsi su un lettino per visitarlo. Il bambino "mummificato" da decine di bende obbedisce, con lo sguardo angosciato. Nell'ambulatorio preso d'assalto ogni giorno da almeno un centinaio di vittime civili della guerra, di rifugiati, soprattutto donne e bambini, talvolta combattenti, il dottor Aswad presta le sue cure dal mattino alla sera senza un minuto di respiro. «Guardate: non parla più. Non mangia più. Vive annientato dal dolore e dal terrore. Attorcigliato su se stesso, murato nei ricordi. E' un "bambino-mummia". Un morto vivente. Perfino noi gli incutiamo paura. Perché le cure sono limitate e dolorose. Perché la malattia fa quello che vuole. E io non posso somministrargli altro che un antibiotico contro le infezioni e cambiargli le bende che si sporcano di continuo per le piaghe purulente, e questo aggiunge sofferenza alla sofferenza. Non possiamo fare altro. Avrebbe bisogno di creme dermatologiche speciali, di una reidratazione continua, di cocktail vitaminici ad alto dosaggio, di assistenza costante, fisica e psicologica». Il dottore apre un vecchio cassetto che scricchiola e ne tira fuori una scatola di caramelle. La porge al suo piccolo paziente, strappandogli un leggero sorriso. Ne prende una, poi un'altra. Sono antidepressivi. Omar ne ingoia due in un colpo solo. «Il momento in cui tutto è andato in pezzi», racconta il chirurgo francese, «è stato quando abbiamo visto arrivare donne e uomini come Omar, con sintomi di cui non capivamo niente, prima di fare tutte le analisi possibili. Poi, per esclusione, siamo arrivati alla conclusione di avere a che fare con feriti che portano addosso i sintomi dei bombardamenti con armi chimiche». Bruciature sottocutanee che corrodono l'epidermide, vesciche, irritazioni della pelle, deformazioni fisiche, perdita di capelli, della memoria, cedimenti del sistema nervoso, dolori muscolari o ossei, malori, nausea, vomito, accessi febbrili, astenia, paralisi. Tutto il corpo che si sfascia, letteralmente. Non c'è alcuna cura adeguata. E talvolta, alla fine, c'è soltanto la morte. «Un vero orrore», dice il medico. «Perché qui tutti noi siamo venuti come volontari da ogni parte del mondo. E ci siamo ritrovati davanti a un'impotenza cronica. A interrogativi. A rompicapi. E infine, alla certezza che il regime siriano impiega le armi peggiori in assoluto, come meglio gli pare».
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