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Il presidente ucraino apre alla Ue: «Pronti al dialogo, rivediamo gli accordi.» Telefonata tra Yanukovich e Barroso per riprendere i negoziati. La protesta non si ferma e prende d'assedio i palazzi del governo
È il primo segnale dopo undici giorni di proteste. Mentre a Kiev continua l’assedio ai palazzi del potere, il presidente ucraino, Viktor Yanukovich, in bilico tra Russia e Ue, ha aperto ai manifestanti filo-europei. Con una telefonata al presidente della Commissione europea Manuel Barroso, Yanukovich si è detto pronto a una ripresa dei negoziati per arrivare a un accordo di associazione e libero scambio con l’Ue. La richiesta è di ricevere una delegazione ucraina per discutere «alcuni aspetti dell’accordo di associazione» ma, allo stesso tempo, il leader ucraino si appresta a negoziare migliori condizioni economiche con la Russia. Barroso, dal canto suo, si è detto disposto ad «attuare gli accordi già sul tavolo» ma «non a riaprire ogni tipo di negoziazione» e ha esortato il presidente ucraino a rispettare «tutte le libertà e i diritti civili», a cercare una «soluzione politica e pacifica» alla situazione attuale, a «investigare sull’uso della forza da parte della polizia» e a mostrare «moderazione». La delegazione, tuttavia, fa sapere la Commissione «sarà accolta al livello adeguato». A Kiev, intanto, all’indomani della manifestazione pro-Ue che ieri ha visto scendere in piazza centinaia di migliaia di persone (mezzo milione secondo l’opposizione), la tensione non accenna a calare. A nulla è servito il divieto di un tribunale di Kiev che fino al 7 gennaio proibiva qualsiasi tipo di manifestazione. Per prevenire assalti delle forze anti-sommossa, in quasi diecimila hanno trascorso la notte accampati in Piazza dell’Indipendenza, la spianata sede della Rivoluzione Arancione del 2004, allestendo 20 grandi tende militari, mentre su un palcoscenico si sono esibiti musicisti e politici dell’opposizione. Fin dalle prime ore di questa mattina, invece, centinaia di dimostranti hanno circondato i principali edifici pubblici, il palazzo del Governo, la presidenza della Repubblica e la Banca Centrale, obbligando molti dipendenti statali a tornare a casa. Vasi di fiori per bloccare le strade che stridono con i manganelli usati ieri dai Berkut, le teste di cuoio, per sgomberare manifestanti e giornalisti. Una repressione violenta, come ha dovuto ammettere lo stesso Yanukovich che oggi ha parlato di «reazione eccessiva» da parte della polizia. «Non smetteremo di protestare finché le autorità non si saranno dimesse», ha arringato così la folla Oleksander Turcinov, portavoce dell’Unione Pan-Ucraina “Patrià”, il partito dell’ex premier Yulia Tymoshenko, in carcere con una condanna a sette anni per abuso di potere. «In Ucraina sta iniziando una rivoluzione», ha dichiarato il leader del partito Svoboda, Oleh Tyahnybok, proclamando uno «sciopero generale». Dura la condanna del presidente russo, Vladimir Putin, che commentando le violenze di piazza di domenica con l’irruzione da parte dei manifestanti nel municipio di Kiev, ha parlato «pogrom», un riferimento ai massacri e ai saccheggi delle sommosse popolari antisemite in Russia. Dello stesso avviso anche il premier ucraino, Mykola Azarov: «Le proteste sono ormai fuori controllo e hanno tutte le caratteristiche di un colpo di stato». Sulla sua testa pende la richiesta, avanzata dell’opposizione, delle dimissioni del Governo. La mozione di sfiducia sarà votata domani alla Verkhovna Rada
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