venerdì 15 novembre 2013
Al cuore della Terra e ritorno: comprendere la crisi sistemica Pubblichiamo in formato PDF una monumentale opera in due tomi di Piero Pagliani: un libro decisivo per capire la crisi sistemica.
QUI IL LIBRO COMPLETO:
L'opera, divisa in due parti, idealmente è la continuazione, dieci anni dopo, del volume «Alla conquista del cuore della Terra. Gli USA dall'egemonia sul "mondo libero" al dominio sull'Eurasia» (Punto Rosso, Milano, 2003). Dieci anni fa l'autore cercava di comprendere i motivi più profondi della ripresa di iniziativa imperiale degli Stati Uniti dopo l'11/9, senza fermarsi alle prime facili considerazioni legate al neo-colonialismo e rifuggendo da popolari formulazioni che giudicava sciagurate, come la nota "guerre delle multinazionali". La ricerca fu guidata dall'ipotesi di Giovanni Arrighi di essere in presenza della crisi sistemica del rapporto di scambio politico tra il Potere del Denaro e il Potere del Territorio che sotto il segno degli Stati Uniti aveva dominato la scena a partire dalla fine della II Guerra Mondiale. Una crisi che induceva gli USA a intraprendere quella che Pagliani definì una politica di "imperialismo preventivo", cioè in previsione di un futuro scontro con le grandi potenze emergenti, in particolare la Cina. Oggi l'autore, che è un frequente collaboratore della nostra testata, rilegge i dieci anni trascorsi come un susseguirsi di tentativi inizialmente riusciti ma alla fine falliti, di gestire una crisi sistemica iniziata circa quarantacinque anni fa e che affonda le sue radici nella grande espansione materiale del dopoguerra.
Il libro accompagnerà il lettore a interessanti conclusioni, ma formula in primo luogo le tante domande chiave che servono a comprendere la crisi.
Quali sono le cause dell'attuale crisi sistemica dell'assetto geo-socio-ecologico occidentale? E' veramente iniziata nel 2008 oppure stiamo vivendo la lunga coda di una crisi che si era già annunciata nel 1971? Perché noti economisti e politici ogni sei mesi proclamano che stiamo uscendo dalla crisi mentre ciò si rivela sempre palesemente falso?
Quali sono le ragioni profonde della finanziarizzazione? E' veramente una "cospirazione" di centri occulti di potere, una deviazione dal percorso normale del capitalismo o invece è un'espressione naturale delle sue patologie? Quanto può prolungarsi? Su cosa si regge? Che rapporto ha con la globalizzazione e con l'aumento in tutti i Paesi occidentali del debito pubblico? Come è spiegabile che in tutta Europa la sinistra storica sia stata alfiere delle politiche economiche neoliberiste e monetariste sperimentate per la prima volta sotto la dittatura di Pinochet?
Perché l'espansionismo imperiale è consustanziale al capitalismo occidentale e al suo progetto geo-socio-ecologico? In quali modi esso contrasta la crisi e in quali l'approfondisce? Perché il Potere del Denaro non può fare a meno del Potere del Territorio?
I BRICS sono il traino futuro o stanno riducendo gli spazi di manovra espansionistici del capitalismo occidentale facendolo entrare in una nuova epoca di sottoproduzione?
La prossima fase della crisi sarà caratterizzata da una de-globalizzazione e una de-finanziarizzazione? La crisi greca è il primo esempio in Europa di violenta definanziarizzazione?
Siamo in una fase di "capitalismo immateriale" o si tratta di un errore di visuale? Siamo veramente in una fase di "capitalismo assoluto" oppure stiamo vivendo aspetti ricorrenti della storia del capitalismo in forma nuova e ad una scala diversa? Cosa è invariante e cosa, al contrario, variante in questa storia?
Chi saranno i soggetti della nuova fase storica? Come si aggregheranno in una società "liquida" in cui l'unica metrica sociale è la possibilità di accesso alle merci? Quale organizzazione è possibile in una società senza più classi di riferimento ma il cui modo di produzione tuttavia permane ferocemente classista?
Ne discendono due considerazioni principali. La prima è che quelle che normalmente sono indicate come "crisi" (come quella dei subprime e quella del debito pubblico) sono solo questi momenti di fallimento dei tentativi di gestione della vera crisi sistemica. Quindi la crisi che stiamo sperimentando è dovuta alla finanziarizzazione solo in tanto in quanto questa è una "cura" che ha aggravato la malattia reale che ha origine nei processi sistemici di accumulazione del capitale, dove "sistemici" vuol dire non generici bensì inseriti in una particolare configurazione storica del sistema-mondo.
La seconda considerazione riguarda il futuro prossimo della crisi, che Piero Pagliani identifica in un processo, contraddittorio e contrastato, di definanziarizzazione e di deglobalizzazione. La tesi, suffragata da un'analisi originale di un insieme di fattori storici, politici, economici e culturali, è in fondo lineare.
La crisi sistemica ha incominciato ad emergere negli anni Sessanta del Novecento proprio a causa dell'impetuoso processo di accumulazione che è andato sotto il nome di "ventennio d'oro del capitalismo" e in Italia di "boom economico", che ha prodotto una massa crescente di capitali impossibilitati a essere reinvestiti profittevolmente in attività produttive.
Inizialmente la crisi è stata gestita da una "finanziarizzazione di Stato" basata sull'inconvertibilità del dollaro in oro (il famoso Nixon shock del 1971) che ha dato luogo alla stagflazione (stagnazione con inflazione) degli anni Settanta, che finì per incrinare seriamente il rapporto di scambio tra il potere politico statunitense e l'alta finanza. Questo contrasto, a volte molto aspro, rischiò di indebolire entrambi i poteri, quello territoriale (minacciato anche sul lato militare-geopolitico dalla sconfitta in Vietnam, dalla rivoluzione iraniana, da quella nicaraguense e dall'invasione sovietica dell'Afghanistan) e quello economico-finanziario ingigantito dai capitali che fuoriuscivano dal processo produttivo.
Per questo motivo il potere politico dominante (imperiale) siglò un nuovo patto col Potere del Denaro accettando la richiesta di quest'ultimo di condividere i privilegi della finanziarizzazione di Stato. Fu così che il Volcker shock del 1979 diede inizio alla lunga stagione di finanziarizzazione privata, trainata e garantita da quella di Stato. Nell'ambito di questo nuovo patto, «i grandi istituti finanziari, in special modo le banche d'investimento, diventavano di fatto le nuove compagnie private dotate di privilegi, ossia con la parziale facoltà di "conduzione di guerre" e di "formazione dello Stato", per conto della loro potenza di riferimento». Come è d'obbligo nel capitalismo termoindustriale occidentale, la doppia finanziarizzazione si è basata su quella che Pagliani definisce "gerarchia ramificata di differenziali di sviluppo e di differenziali politici", differenziali che agiscono sia tra Paesi e aree, sia all'interno del singolo corpo sociale (a partire dal Volcker shock, ricorda più volte l'autore, iniziò infatti una determinatissima "lotta di classe dall'alto", di cui le recenti controriforme del lavoro Monti-Fornero rappresentano da noi l'ultima appendice in senso temporale).
Tale gerarchia è stata mantenuta da un'egemonia (rappresentata dal Washington Consensus) "corazzata di coercizione", come avrebbe detto Antonio Gramsci, ovvero armata dal "pugno invisibile ... chiamato Esercito, Aviazione, Marina e Corpo dei Marines degli Stati Uniti", come ammise Thomas Friedman nel 1999 sul New York Times nel suo "Manifesto per un mondo veloce", non a caso citato all'inizio della seconda sezione del libro, intitolata "Mani invisibili e imperi visibili". Ma questa gerarchia ramificata è stata messa in discussione e alterata, sia nella sua componente economica sia in quella politica, dall'affacciarsi sullo scenario internazionale degli enormi competitor che sono usualmente raccolti sotto la sigla BRICS.
La reazione degli Stati Uniti e dei suo alleati al seguito, di conseguenza è stata ed è il tentativo di "controllare il centro della scacchiera mondiale", per impedire agli avversari mosse pericolose. E' ciò che ha fatto Bush jr in modo diretto e, in modo per ora più obliquo dovuto ad un assestamento strategico, Barack Obama.
Tuttavia il circuito mondiale che teneva mutuamente in piedi la globalizzazione (cioè, in sostanza, l'intercettazione del valore reale prodotto mondialmente da parte dei centri politico-finanziari dominanti) e la finanziarizzazione, si è ormai incrinato seriamente in più punti a causa dell'emergere di quei competitor politicamente indipendenti dagli Stati Uniti, cosa che rappresenta un effetto inintenzionale della globalizzazione stessa.
Ciò, secondo l'autore, fa presupporre che la nuova stagione sarà caratterizzata da processi di definanziarizzazione, che comporteranno fallimenti, privatizzazioni, frammentazione del corpo sociale e delle stesse classi, e contemporaneamente di deglobalizzazione, cioè di ricompartimentalizzazione dell'economia in regioni geopolitiche differenti e contrapposte, con un conseguente aumento della tendenza a spostare la competizione dall'ambito del rapporto tra agenti economici a quello tra Stati. Per questo motivo Piero Pagliani sollecita a essere sempre vigili nella difesa della pace, forse l'obiettivo che oggi sussume tutti gli altri.
Metodologicamente, se da una parte Marx viene utilizzato nella misura (per altro ampia) in cui "non ha senso reinventare la ruota", dall'altra le tesi del libro sono sorrette da un'ulteriore rielaborazione dei concetti di Arrighi che si avvale anche di una descrizione "pseudo-formale" (come tiene a sottolineare l'autore), ispirata da un particolare ramo della Matematica e illustrata con semplicità, e di una serie di contrapposizioni facenti capo alla dialettica esterno/interno, basilare per spiegare i meccanismi della gerarchia ramificata di differenziali di sviluppo e la natura del capitalismo come "sistema dissipativo" che necessita di "esportare entropia" e, dualmente, di appropriarsi di "natura relativamente non capitalizzata" (nella forma di materie prime, lavoro vivo o semilavorati) come modo per contrastare la caduta del saggio di profitto.
E' proprio la vitale "costruzione e ricostruzione dell'esterno" da parte dei vecchi centri capitalistici che oggi è ipotecata dai grandi competitor.
E' in questo quadro che acquista un senso drammatico l'ultima domanda che l'autore rivolge a tutti: «La nuova epoca che ci aspetta, che sarà segnata dalla deglobalizzazione, sarà un'epoca di pace garantita da nuovi equilibri o sarà un'epoca di guerre devastanti?
La risposta non è : "Non lo possiamo sapere". La risposta dipende da noi.»
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