Scritto per Internazionale La Cina nello smog
“Stessa aria, stesso destino”. Nella Cina del 2013 questo detto non è solo un simbolo della lotta ispirata al “sogno cinese”, ma una realtà comprovata ogni giorno dai fatti. Ricchi funzionari e figure eminenti, imbonitori e vagabondi... chiunque esca all’aria aperta è coinvolto. Dall’inizio del XXI secolo, in Cina ci sono state almeno due occasioni in cui le mascherine sterili sono andate a ruba. La prima fu nel 2003, con l’esplosione della Sars. All’inizio di quell’anno, a Pechino si diceva che i cantonesi erano esagerati, perché indossavano le mascherine per assistere alle competizioni sportive. In seguito l’epidemia fece violentemente il suo ingresso nella capitale. La paranoia e le precauzioni crebbero all’eccesso, ma nessuno batté più ciglio. Gli effetti dello smog non hanno la violenza di un’epidemia, ma influiscono costantemente sul fisico. Alla fine del 2010, l’Ambasciata americana aveva calcolato che a Pechino il valore del particolato fine (PM 2.5) raggiungeva i 595 microgrammi al metro cubo, superando il valore limite degli strumenti di misurazione (500 μg/m3). Da allora questo metro di misurazione della qualità dell’aria è divenuto sempre più familiare ai cinesi. La gente ha compreso che il problema era reale ed è rimasta fortemente impressionata da una serie di incidenti, che hanno ferito i sentimenti del popolo e della nazione cinese. Ad esempio ci sono stati atleti stranieri che sono arrivati a Pechino con indosso le mascherine o che hanno direttamente disertato competizioni sportive adducendo come ragione “la pessima qualità dell’aria”. Nelle guide turistiche sono comparse note sulla “tosse di Pechino” e i dati del Consolato americano hanno evidenziato contraddizioni davvero enormi con quelli rilasciati dal Ministero dell’ambiente cinese. Nel 2013, l’allarme degli indicatori dal Nord della Cina ha raggiunto il Sud del paese. Lo stesso cielo ha coperto tutte le teste e ognuno ha compreso il destino comune. Il risultato del modello di crescita dell’economia tradizionale presenta il conto. Nessuno escluso All’alba del 1 dicembre 2013, Jiang Dahe, professore in pensione dell’Istituto di ingegneria e scienze ambientali dell’Università Tongji, ha portato la sua nuova reflex in via Nanchino a Shanghai per riprendere la maratona che si sarebbe svolta quel giorno. In questa città, nota per la sua vitalità, una maratona con decine di migliaia di partecipanti è un grande evento per gli amanti dello sport. Quel giorno però la qualità dell’aria ha raggiunto punti critici di inquinamento, inaugurando una settimana con alti livelli di smog. Era la seconda volta nello stesso anno, in una regione - quella a Sud del basso corso del Fiume azzurro – la cui qualità dell’aria era stata sempre considerata abbastanza buona. La prima volta era accaduto intorno al 7 agosto 2013, uno dei giorni più caldi dell’estate. Gli ossidi di azoto e gli idrocarburi emessi dai gas di scarico delle autovetture, quando esposti ai raggi del sole, scatenano una reazione generando smog fotochimico. Quel giorno hanno prodotto un grave eccesso di ozono nell’atmosfera, la cui concentrazione oraria ha superato addirittura i 300 microgrammi al metro cubo, tingendo il cielo di un blu pallido. Mentre alla fine del 2013 Shanghai era colpita dallo smog, Liu Zhentao (nome di fantasia) veniva schernito dai suoi amici. Pechino è il luogo più adatto per chi opera nel venture capital su internet ma un paio di anni fa Liu si era trasferito con la famiglia a Shanghai. Riteneva che l’aria di Pechino fosse troppo inquinata, anche se allora la stragrande maggioranza dei cinesi ancora non parlava di polveri sottili. A Shanghai aveva fatto ricerche sui vari modelli di purificatori d’aria e su tutte le aziende del settore. Dopo aver deciso di investire, lo smog ha raggiunto la città e lo ha ricompensato con un bruttissimo aspetto. Persino la gente del posto ci ride su. Se a Pechino non si riesce a vedere chiaramente il ritratto di Mao a Tian’an men, a Shanghai non si riesce a vedere il ritratto di Mao sulla banconota da 100 yuan tirandola fuori dalla propria tasca. Alcuni hanno pensato di fuggire. L’editorialista Ye Tan è tra coloro che sono migrati temporaneamente. Lei si è trasferita nella regione dello Zhejiang, in una cittadina di nome Deqing ai piedi del monte Mogan, ma ha scoperto che anche questo posto è oppresso dallo smog. I motivi per cui questa volta lo smog ha attirato tutta quest’attenzione sono molti. Tra essi va considerato che uno dei principali agenti inquinanti è il particolato fine, un tipo di polvere sottile che recentemente è divenuto tristemente noto agli abitanti del luogo per la capacità di influenzare in maniera sostanziale la visibilità e la salute. Quest’anno le polveri sottili si sono comportate come degli studenti modello, concludendo con pieno successo un temino che ripete sempre lo stesso ritornello. L’inizio della composizione reciterebbe più o meno così: a gennaio l’ampia coltre di smog ha colpito 17 grandi città. Durante tutto il mese, nell’area di Pechino, di Tianjin e della regione dello Hebei, ci sono stati solo 5 giorni di cielo limpido. Nella fase più critica, tra il 9 e il 15 gennaio dello scorso anno, a Pechino la concentrazione in un’ora di PM 2.5 ha raggiunto un massimo di 680 microgrammi al metro cubo, superando la soglia dei 300 microgrammi al metro cubo per 46 ore. Inizialmente alcuni media hanno risposto al cielo grigio con grande ottimismo. Sul sito della Cctv è comparso un pezzo di analisi intitolato "I cinque grandi lati positivi portati dallo smog" in cui si sosteneva che l’aria inquinata avrebbe reso la Cina più unita, più equa, più vigile e più ironica. Questa ridicola presa di posizione senza alternative è risultata incomprensibile agli inviati stranieri. Sul Financial Times Patti Waldmeir la definiva "estremamente costruttiva". Contemporaneamente, anche i cinesi criticavano la tendenza a "dipingere un funerale come evento gioioso". Lo smog non ammette scherzi. Patti Waldmeir ha osservato che le persone comuni che di norma fanno attività all’aperto sembrano non avere scelta. Una signora che partecipa ai balli di gruppo in piazza le ha dichiarato che quando il livello di PM 2.5 supera i 140 microgrammi al metro cubo non uscirà di casa. In realtà la soglia originale era di 110 ma poi la qualità dell’aria è peggiorata, e così ha innalzato la soglia di tolleranza. Per tre volte. La stessa Waldmeir ha affermato che sta pensando di rimuovere dal cellulare l'applicazione che monitora il livello d’inquinamento atmosferico. La guerra del PM 2.5: attacchi e contrattacchi Mentre l'inquinamento atmosferico è peggiorato, la gente è passata dalla completa ignoranza alla consapevolezza, fino a interrogarsi sulle possibili conseguenze. In meteorologia lo smog è definito come “un tipo di polveri secche estremamente sottili, che fluttuano in modo omogeneo nell’aria e la rendono complessivamente torbida, riducendo la visibilità a meno di dieci chilometri”. Di queste polveri quella che ha un impatto più forte sulla visibilità è il particolato fine. All’inizio degli anni Novanta, l’Agenzia statunitense per la tutela ambientale ha iniziato gradualmente a prestare attenzione al PM 2.5 incuriosita dalle ricerche di un epidemiologo del Ministero, Joel Schwartz, che aveva notato uno strano fenomeno. Negli anni Settanta e Ottanta, la cittadina di Steubenville fu esposta a un forte inquinamento da carbone. Anche quando il livello di inquinamento si abbassò, il tasso di mortalità dei cittadini continuò a crescere. Schwartz fece delle verifiche in altre quattro cittadine americane simili e i risultati furono gli stessi. Applicando i dati sull’intero territorio nazionale, lo studioso affermò che ogni anno i decessi per malattie cardiorespiratorie dovuti all’aumento di forme poco studiate di inquinamento, superavano il numero dei morti causati in quello stesso periodo da incidenti stradali. Nel 1991, Schwartz presentò i risultati della sua ricerca a un grande convegno scientifico e sostenne che i decessi presi in esame erano riconducibili con ogni probabilità a polveri presenti nell’aria, ancora più piccole rispetto allo standard di quelle fino ad allora analizzate. In seguito, nel 1993, uno studio analizzò un campione di 8mila persone provenienti da sei città americane e ne studiò lo stato di salute, le abitudini di vita e l’ambiente in cui vivevano. I risultati evidenziavano che il tasso di mortalità aumentava nelle città dove l’inquinamento era maggiore, più 26 per cento rispetto alle città meno inquinate. Nel 1995, sulla base di dati sul PM 2.5 e sulle condizioni di salute di 550mila persone provenienti da cinquanta città americane, l’economista Pope, in uno studio congiunto compiuto con un team di epidemiologi, rilevava che chi risiedeva in zone con alti livelli di inquinamento era esposto a un tasso di mortalità superiore del 17 per cento rispetto ai cittadini che vivevano in luoghi meno inquinati. Nel luglio del 1997, l’Agenzia per la tutela ambientale autorizzò un decreto contenente restrizioni in materia di emissioni di ozono, ponendo come obiettivo la riduzione del particolato fine. Stando alle cifre circolate all’epoca, il nuovo regolamento avrebbe stanziato l’aumento annuo di 9 miliardi 700 milioni di dollari per coprire i costi di attuazione. Prevedeva l’installazione di nuove strumentazioni, la stima delle emissioni di centrali elettriche e dei motori diesel. Ma non tenne conto della portata dell’attacco così sferrato agli ambienti industriali. In seguito più di cinquecento aziende petrolifere, imprese automobilistiche e gruppi del settore lanciarono un contrattacco congiunto, ritenendo la risoluzione "infondata". Lo stesso mese, anche il Congresso iniziò a elaborare una nuova normativa, che sostituisse il regolamento. All’epoca, sulla rivista Science, la disputa fu definita la "più significativa battaglia ambientalista degli ultimi dieci anni". Durante il confronto, Schwartz e i suoi sostenitori dissero che "i circoli industriali si difendono sostenendo che è tutto il frutto di altre fonti di inquinamento, ma sostanzialmente non hanno prove". La replica degli oppositori invece recitava: "i fattori che colpiscono la salute sono molti, non si può affermare arbitrariamente che un certo tipo di elementi abbia un ruolo prevalente rispetto ad altri". Persino ricercatori non schierati intervennero sulla questione, specificando che era possibile che i dati statistici rilevati nelle sei città isolavano solo alcuni dei fattori in grado di danneggiare la salute. Un rinomato epidemiologo dell’Università, Johns Hopkins, dichiarò che sebbene riconoscesse gli effetti dell’inquinamento atmosferico sul fisico, allo stato delle conoscenze non era sicuro che tali effetti fossero prevalenti rispetto ad altri, né che meritassero di essere condotti sul banco degli imputati o che richiedessero interventi così costosi. Il risultato di questa serie di attacchi e contrattacchi fu che i dati e le ricerche che mettevano in relazione il particolato fine e la salute aumentarono sempre di più, cosicché l’agenzia per la protezione ambientale revisionò il regolamento sia nel 2006 sia nel 2012, per intensificare le limitazioni del PM 2.5. Oggi, sul sito dell’agenzia, gli utenti possono ancora trovare una “tavola delle aree non in linea con gli standard” e una lista di tutte quelle regioni i cui “progressi” hanno consentito di rientrare nei valori prefissati. La pianificazione compiuta negli Stati uniti prevede che nel 2020 la qualità dell’aria in tutto il paese possa rispettare i nuovi standard. Nel 1999 gli Stati uniti iniziarono ufficialmente a monitorare la concentrazione di PM 2.5 nell’aria. La ricerca in Cina muoveva allora i primi passi. Il termine huimai [letteralmente “foschia grigia”, ndt], impiegato oggi negli ambienti accademici, fu ufficialmente adottato nel 2002, dopo che alcuni giovani scienziati lo usarono per tradurre l’espressione inglese grey haze. Lo stesso anno, la Conferenza scientifica svoltasi sulle Colline profumate a Pechino ebbe come tema “i meccanismi e le misure di prevenzione per la formazione del particolato PM 10”. Durante il seminario si discusse formalmente sulla questione dell’inquinamento atmosferico. Alcuni studiosi scelsero per il loro intervento il tema dell’inquinamento dell’aria e dei rischi collegati al PM 2.5, analizzando il tasso di inquinamento riconducibile a questo tipo di polveri sottili e le conseguenze sul fisico delle persone. Nel 2003, Wu Dui (Istituto di ricerca sul clima tropicale e oceanico di Canton dell’Ufficio nazionale di meteorologia) pubblicò il primo saggio in lingua cinese sullo smog. Da lì si è sviluppato tutto il sistema di ricerca accademica cinese sul tema. Nel 2009, un gruppo di ricercatori dell’Università di Pechino pubblicò sulla rivista inglese Atmospheric Research [la rivista è in realtà olandese anche se pubblicata in lingua inglese, ndt] l’articolo Andamento della visibilità in sei grandi città cinesi dal 1973 al 2007, che rivelava i cambiamenti della visibilità nelle città di Pechino, Chengdu, Guangzhou, Shanghai, Shenyang e Xi’an, coprendo un arco di tempo di oltre trent’anni. Su Pechino gli autori scrivevano che tra il 1973 e il 1977 la visibilità era scesa rapidamente. Tra il 1978 e il 1998 non si erano verificati grandi cambiamenti ma, a partire dal 1999, aveva cominciato lentamente a risalire. Le altre città prese come campione seguivano di base lo stesso modello, esclusa Shenyang. Come nelle altre metropoli, tra il 1973 e il 1989 la visibilità era diminuita sensibilmente, tuttavia dal 1990 la situazione era migliorata, per poi mantenersi stabile fino al 2007. La ragione di ciò probabilmente "è legata alla ristrutturazione dei complessi industriali di stato e al rimodellamento dei vecchi poli industriali del Nord-Est". Gli autori aggiungevano: "Nonostante ciò, tra le sei città prese in esame, Shenyang è tuttora quella con la visibilità peggiore". Un altro dato che emergeva dall’articolo era la relazione tra le stagioni e il livello di visibilità. A parte Pechino e Shenyang, le altre quattro città, situate nel Sud e nel centro della Cina, godevano di una visibilità migliore in estate. Pechino e Shenyang, al contrario, avevano una migliore visibilità in primavera. Esclusa Canton, dove la situazione peggiore si verificava in primavera, nelle rimanenti città la visibilità peggiorava d’inverno. Tra le ricerche sulla qualità dell’aria in Cina, oltre allo studio sulle sei città, esiste un’altra analisi che ha ugualmente attirato l’attenzione degli ambienti accademici. Si tratta dello studio condotto a Canton da Tie Xuexi (del Centro di ricerca di scienze atmosferiche americano) sulla relazione tra il tasso di mortalità causato dal cancro ai polmoni e l’aerosol atmosferico. L’articolo, pubblicato dalla rivista Atmospheric Environment, evidenziava che il coefficiente di estinzione atmosferica (strettamente collegato con il valore del PM 2.5) possiede un’elevata rilevanza in relazione al tasso di mortalità dovuta al tumore dei polmoni, e che per di più gli effetti sono in grado di manifestarsi anche con sei o sette anni di ritardo. Nel giugno 2010, in uno studio sulle cause di mortalità in Cina pubblicato dalla rivista The Lancet, il pulviscolo atmosferico era indicato come la quarta causa di mortalità, tra il fumo (terza causa) e i fumi da cucina (quinta causa). Nello stesso articolo la prima causa erano considerati gli alimenti e le bevande contraffatti, mentre la pressione alta era al secondo posto e l’alcool al settimo. L’effetto più evidente dell’inquinamento prodotto dal pulviscolo atmosferico è la visibilità ridotta. Uno degli esempi più assurdi è quello dell’autobus che si è perso a Harbin. Un esempio più verosimile è quello dell’Ufficio dell’aviazione civile, che ha richiesto, a partire dal 1 gennaio 2014, che i comandanti in servizio sui voli provenienti dai dieci aeroporti con maggior traffico di passeggeri e diretti all’aeroporto di Pechino dovranno avere l’abilitazione per effettuare due tipi di atterraggio alla cieca. Gli effetti del particolato sul corpo umano invece hanno condotto all’aumento dei casi di degenza per problemi respiratori. Il caso con maggiore eco è stato quello di Patti Austin, la cantante americana premiata con un grammy, che ha dovuto cancellare l’esibizione prevista a Pechino per un attacco d’asma causato da una grave infezione respiratoria. Una cappa grigia che ricopre il cielo, auto che avanzano a passo d’uomo lottando contro il tempo per distinguere le lanterne semaforiche, mascherine simili a maschere anti-gas che fanno avanti e indietro sulle carrozze della metropolitana, associazioni dei genitori che richiedono che le scuole vengano equipaggiate con purificatori d’aria per evitare che i figli respirino “aria nociva”, persone che pretendono che ovunque vadano ci siano purificatori d’aria, come se non fosse più possibile respirare appena ci si allontana dagli apparecchi... La vita di città oggi contempla scene di questo tipo. Alle origini dell’inquinamento La gente, quando legge le notizie sulle cause dell’inquinamento, ripensa al grande smog della Londra del 1952 o allo smog fotochimico di Los Angeles negli anni Quaranta e Cinquanta. Tuttavia, in un articolo intitolato “Riflessioni e strategie per controllare l’inquinamento atmosferico a Pechino a Tianjin e nello Hebei”, Wang Yuesi (autore dei rapporti del progetto “Indagine sulle cause dello smog in Cina” e ricercatore dell’Istituto di fisica atmosferica dell’Accademia nazionale delle scienze) scrive: "la questione dello smog in Cina è ancora più complessa e seria del grande smog di Londra e dello smog fotochimico di Los Angeles". Il grande smog di Londra fece la sua comparsa in un’epoca in cui l’umanità non conosceva ancora il fenomeno dell’inquinamento atmosferico ed era riconducibile soprattutto alla combustione di un eccesso di carbone in quello stesso periodo. Lo smog fotochimico di Los Angeles, invece, era facilmente riconducibile ai motori delle autovetture. Lo smog in Cina, invece, non ha una ragione così evidente. Ogni città e ogni fenomeno ha caratteristiche proprie. A distanza di tre mesi dall’ondata di smog di gennaio 2013 che ha colpito Pechino, Tianjin e la regione dello Hebei, il team di ricerca di Wang Yuesi ha pubblicato i risultati della propria analisi sulla Rivista dell’Accademia cinese delle scienze. L’analisi delle cause che hanno generato il PM 2.5 a Pechino ha evidenziato il ruolo della combustione del carbone e dei motori delle autovetture. "La media annuale delle emissioni di PM 2.5 a Pechino è riconducibile alla combustione del carbone (26 per cento), ai motori delle autovetture (19 per cento) alla ristorazione (11 per cento) e alle industrie (10 per cento)". La stessa analisi ha invece rivelato che "nella regione che si estende da Pechino a Tianjin fino allo Hebei la principale fonte d’inquinamento è la combustione del carbone (34 per cento), seguita dai motori delle vetture (16 per cento) e dalle industrie (15 per cento)". I mezzi di comunicazione hanno sintetizzato questi risultati con la formula ”le macchine di Pechino, gli oli di Tianjin e il carbone dello Hebei”. Nell’articolo “Proposte per il controllo dello smog”, il gruppo di ricerca di Wang Yuesi scriveva: "Pechino non ha i mezzi per gestire indipendentemente il problema dello smog". Stando ai dati raccolti dal Ministero per la tutela ambientale sul mese di novembre, l’insieme degli indici sulla qualità dell’aria nell’ambiente urbano evidenzia che le dieci città con i peggiori risultati sono Shijiazhuang, Baoding, Xingtai, Tangshan, Handan, Jinan, Taiyuan, Langfang, Urumqi e Hengshui [7 di queste città sono nella regione dello Hebei, che circonda Pechino, ndt]. A confronto con il caso di Pechino, è evidente che nello Hebei l’inquinamento dell’aria è ancora più grave, ma poiché la capitale ha catalizzato a lungo l’attenzione generale, l’opinione pubblica “ha spento la luce” sulla pessima aria dello Hebei. Inoltre, gli effetti a catena scaturiti da un modello di sviluppo industriale tradizionale hanno gravato anche sulla capitale. Per quanto riguarda Shanghai, la ricerca delle cause non è così facile. In una regione come quella del delta del Fiume azzurro, in cui d’inverno non si fa uso del riscaldamento centralizzato, cosa causa lo smog? Secondo le indagini ufficiali, la causa principale sarebbe legata alle condizioni climatiche. La versione più ricorrente ritorna anche nella nota ufficiale dell’Agenzia municipale per la tutela ambientale, secondo cui il recente inquinamento sarebbe "il risultato dell’azione congiunta e sovrapposta dell’arrivo di agenti inquinanti da Nord, dell’accumulo continuo dell’inquinamento locale, nonché di quello di tutta la regione, scaturita da una serie di condizioni meteorologiche sfavorevoli". Il clima probabilmente è davvero una delle ragioni. Durante l’inverno, l’inversione termica –che fa registrare un abbassamento della temperatura negli strati superficiali e l’innalzamento in quelli superiori- e la limitazione dei movimenti atmosferici orizzontali e verticali intensificano la concentrazione delle sostanze inquinanti. Stando alle immagini scattate con telerilevamento satellitare dalla Nasa, "la spessa coltre di smog si estende da Pechino a Shanghai, per un tratto di 1200 chilometri, equivalente alla distanza che separa Boston nel Massachusetts e Raleigh, nel North Carolina [...] L’abbondanza di smog è comune nel Nord Est della Cina, ma raramente il fenomeno si era esteso come questa volta fino al lontano Meridione". Le immagini rilevate dal satellite sono state analizzate da Rudolf Husar (direttore del Centro per l’analisi delle tendenze e dell’impatto dell’inquinamento dell’aria dell’Università di Washington), che ha affermato che le sostanze inquinanti non hanno raggiunto la parte superiore della nebbia: "la maggior parte di esse è stata confinata allo strato limite planetario (il più vicino alla superficie terrestre), che è spesso solo alcune centinaia di metri". Questa conclusione riprende il pensiero degli scienziati cinesi. A tal proposito, in un articolo scientifico divulgativo, Wang Yuesi faceva un’analogia che paragonava l’altezza degli strati compositi con quella del soffitto di una stanza: "se il soffitto è troppo basso e tutti fumano nella stessa stanza, dopo poco non si vedono più le persone. Se il soffitto invece fosse alto venti o trenta metri e si facesse una riunione in una sala simile, anche fumando due sigarette non cambierebbe nulla". Influenze di questo genere probabilmente scaturiscono dai cambiamenti climatici che si stanno verificando. Lo scienziato Wang Kaicun, alla guida dell’Istituto di ricerca scientifica sui cambiamenti globali e sul sistema terrestre dell’Università di Pechino, anni fa pubblicò un articolo su Science, in cui, tra l’altro, sosteneva che dal 1975 è in atto un chiaro aumento della concentrazione di polveri sottili su scala globale (Europa esclusa). Lo smog ha anche il potere di accentuare la stabilità del tempo. Wang Kaicun ha dichiarato al nostro giornale che l’aumento delle polveri sottili ha allo stesso modo fatto sì che le radiazioni solari in grado di raggiungere la superficie terrestre siano diminuite, riducendo inoltre la capacità della superficie terrestre di riscaldare l’atmosfera e la temperatura terrestre. Tuttavia, la temperatura degli strati dell’atmosfera che contengono polveri sottili è aumentata, perciò il tempo tende alla stabilità, sfavorendo la diffusione delle polveri sottili per vie verticali e rendendone più facile l’accumulo. È possibile che lo smog e il tempo stabile si stiano influenzando e stimolando a vicenda. Tuttavia, la permanenza per più di una settimana del cielo grigio lascia ipotizzare che questo stato di inerzia sia il risultato di una causa scatenante. Ma quale? C’è chi ha puntato il dito contro l’erba bruciata dai contadini nei terreni incolti ai margini della città, chi ha pensato ai motori delle macchine e alle centrali elettriche a carbone nella regione del delta del Fiume azzurro. Stando ai dati sulla capacità installata di energia prodotta con combustibili fossili nei tre principali centri economici del paese, i valori dell’area di Pechino, Tianjin e dello Hebei e di quella del Fiume delle perle (Canton, Shenzhen e Hong Kong) coprono solo il 7 per cento di tutto il paese, mentre quelli dell’area del delta del Fiume azzurro ammontano al 17 per cento. Secondo le analisi condotte da Greenpeace sui relativi dati climatici e sulle strutture produttive dell’area sul delta del Fiume azzurro, invece, "il cemento e altre emissioni rappresentano la principale causa dello smog nella regione del delta del Fiume azzurro". Oltre agli scarichi delle industrie locali, anche le sostanze inquinanti provenienti da fuori sono state prese in considerazione per capire se ci sia stata una relazione tra l’inquinamento che in questa occasione ha colpito le regioni a Sud del Fiume azzurro e la situazione nel Nord della Cina. Chi sostiene questa tesi fa riferimento al fatto che la qualità dell’aria nelle città meridionali è strettamente legata alla provenienza dei venti, e spesso la situazione inizia ad aggravarsi quando il vento soffia da Nord. Con una coltre di smog lunga 1200 chilometri sono comparse le battute sulla rete sulla differenza tra la “nebbia made in Pechino” e la “nebbia made in Shanghai”: "una ha il gusto delizioso di un filetto di carne, l’altra è delicata come un kopi luwak". Osservando se si tratti di polveri fini o ruvide, sul suo blog Jiang Dahe ha tracciato uno standard di giudizio sulla base della proporzione di PM 2.5 e di PM 10. Ritiene che "la proporzione dimostri in una certa misura la tipologia di inquinamento e la probabile natura degli agenti inquinanti". Quando la proporzione di particolato fine tende a essere elevata, si registrano soprattutto agenti inquinanti locali e trasportati dalle aree circostanti; quando invece le polveri sono prevalentemente ruvide è in atto un processo di spostamento dello smog fluttuante dal Nord. Ma le polveri presenti nell’atmosfera possono davvero coprire distanze di oltre mille chilometri e attraversare mezza Cina? Rudolf Husar, in una replica al nostro giornale, non sembra avere dubbi: secondo lui "le emissioni di ossido di zolfo provenienti dalle centrali elettriche riescono a tutti gli effetti ad avere ripercussioni su aree circostanti tra i cinquecento e i mille chilometri. Per portare a termine questo spostamento nell’atmosfera bastano dai tre ai cinque giorni". Questo famoso scienziato americano, che in passato si è occupato del fenomeno delle tempeste di sabbia e polvere in Asia, ritiene che, proprio in virtù dell’inquinamento atmosferico, oggi queste ultime non rappresentino già più la principale sfida da affrontare in Cina. A prendere il posto delle tempeste sono state queste polveri dal diametro di appena 2.5 micrometri. "Le tempeste avvengono solo in primavera e colpiscono solo le regioni settentrionali. Le componenti chimiche nelle polveri non sono dannose e avendo un diametro sufficientemente grande non riescono a penetrare nei polmoni". Le responsabilità della gente La crisi dell’aria rappresenta un’enorme sfida per il governo. Ha la particolarità di coinvolgere ambiti diversi, dall’economia alla politica, dalla qualità della vita alla diplomazia. A metà giugno del 2013, la Conferenza esecutiva del Consiglio di stato ha approvato e promulgato dieci articoli, i cosiddetti “dieci articoli sull’atmosfera” per la prevenzione dell’inquinamento dell’aria. Dopo il “Piano d’azione per la pulizia dell’aria 2013-2017”, che stanzia un investimento di oltre mille miliardi di yuan, a ottobre 2013 il governo municipale di Pechino ha proclamato un nuovo “Piano per le emergenze causate dal forte inquinamento atmosferico di Pechino”, che prevede, tra l’altro, l’interruzione del lavoro e della produzione industriale, la sospensione della circolazione di autovetture e altre misure d’emergenza. "Se non si investe nella tutela ambientale bisognerebbe investire nell’assistenza sanitaria". A parlare è Zhao Hualin, direttore del Dipartimento per la prevenzione dell’inquinamento del Ministero per la tutela ambientale. Sulla base del “Piano d’azione per la pulizia dell’aria 2013-2017”, fino al 2017 la Cina stanzierà 1.700 miliardi di yuan per gestire il problema dell’inquinamento atmosferico. Per fare fronte alle spese di questo piano enorme sono scesi in campo governo, imprese e singoli cittadini. Il 22 dicembre, alle ore 19:22, l’account ufficiale weibo dell’Ufficio per la protezione ambientale della municipalità di Tianjin ha mandato un segnale di preallarme per comunicare che dal 22 al 25 dicembre l’aria di Tianjin sarebbe stata fortemente inquinata. L’allarme era di terzo livello (allarme giallo), in conformità con la classificazione istituita dal regolamento del “Piano per le emergenze causate dal forte inquinamento atmosferico di Tianjin”. Contemporaneamente, un altro messaggio più lungo segnalava inequivocabilmente che a partire dalla mezzanotte del 23 si sarebbe posto un limite alla circolazione a giorni alterni sulla base dell’ultima cifra della targa delle vetture. Subito dopo il messaggio è stato condiviso in successione dalle amministrazioni correlate. L’annuncio improvviso ha portato all’esasperazione gli automobilisti di Tianjin che hanno letto la notizia su internet. Dopo quattro ore, il canale trasporti di Radio Tianjin, su indicazione dell’Ufficio di gestione delle comunicazioni, annunciava che "stando alle ultime notizie, al momento non si ricorrerà alle targhe alterne. Poiché in rete è comparsa la notizia che domani sarebbe iniziata la circolazione a targhe alterne, invitiamo tutti a fare riferimento a questo annuncio speciale". L’autogol del governo ha creato ancora più incertezza nelle notizie, cosicché l’account weibo ufficiale del Quotidiano di Tianjin ha replicato con schiettezza: "l’Agenzia municipale per la tutela ambientale stasera ha proclamato lo stato di allerta del terzo livello per l’emergenza inquinamento. Questo implica che per la prima volta verrà messo in atto il “Piano per le emergenze causate dal forte inquinamento atmosferico di Tianjin” (provvedimento n° 88 del 2013 approvato dal governo municipale). Domani ci saranno limiti alla circolazione, gli automobilisti ne sono al corrente? Anche i giornalisti sono abbastanza confusi! Domani chi non rispetterà il regolamento verrà multato o no? Se verrà multato come sarà possibile ottenere il rispetto della popolazione? E se non verrà multato dovremo considerare le delibere del governo alla stregua di una recita per bambini? Gli uffici in questione siano un po’ più seri, stiamo parlando di un limite della circolazione!" Una serie di segnali dimostra che le parti in causa ancora non sono pronte per prendersi appieno le proprie responsabilità. |
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